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sabato 26 febbraio 2011
mercoledì 16 febbraio 2011
Mario Donadoni Poeta Scrittore Critico letterario delle Isole Sparse Vniversixà Menago
Dal Sito Ufficiale.
Prof. Mario Donadoni
L'infanzia
Nato a Bovolone nel 1906 da una modesta famiglia di artigiani del luogo, Mario Donadoni visse una giovinezza stentata, grama, ma soprattutto amara e, dopo l'oscuro dramma familiare che lo colpì e del quale porterà una ferita indelebile per tutta la vita, fuggì di casa, abbandonò per sempre la famiglia, visse ramingo e diseredato per il paese, ospite sopportato e spesso umiliato presso alcune famiglie locali, patì la fame ed il freddo, sopportò le maldicenze dei suoi stessi amici d'infanzia e subì il disprezzo di molti suoi compaesani per il suo altezzoso vagabondaggio e per la sua orgogliosa testardaggine, lui povero e plebeo, di voler, ad ogni costo, studiare.
“Come sono lontani gli inverni nei cui mattini freddi e ghiacciati nonna Marietta mi veniva a svegliare in punta di piedi per accompagnarmi in chiesa a servire la prima Messa. C'era buio e c'erano ancora tutte le stelle della notte. A volte nevicava e soffiava il vento e allora nonna Marietta m'avvolgeva nel suo scialle di lana nera svincolandomi sulla soglia della sagrestia della vecchia chiesa di San Biagio.
Andai sempre d'accordo con lei. Talvolta andammo assieme a spigolare e tra le stoppie cantavamo felici, chini alla ricerca delle spighe sottratte al restrello, grondanti di sudore sotto il solleone, con in tasca un tozzo di pane che a morsi voraci consumavamo sulle rive dei fossati all’ombra degli olmi e dei platani. Raccoglieva le spighe, ne faceva tutto un mazzo, le chiudeva in un sacco che sbatteva contro il tronco degli alberi per sgranarle soffiandone via la pula e strappandone la paglia. Il grano raccolto lo portavamo al molino e, quando ne ritiravamo la farina, essa era felice del frutto candido dei suoi raccolti là nei campi che non erano suoi ma dove il buon Dio lascia alla povera gente la possibilità, sia pur minima, d'affrancarsi contro i bisogni più urgenti.
Fu lei che un mattino mi svegliò prima che suonasse l'Ave Maria per dirmi che avrei iniziato i miei studi. E fu lei che raccolse mendicando il denaro per comprarmi i libri e pagare le tasse.
Nonno Alessandro faceva il muratore. Lo ricordo quando a poco a poco costruì la casa che poi andammo ad abitare. Era tutta le sua ambizione. Vi mise egli stesso mattone su mattone, ne squadrò i muri, ne immaginò le stanze, a rilento vi stese l’intonaco e vi compose gli impiantiti. Vi alzò un grande focolare dove alle sere d'inverno sedeva come un re sul suo trono e ci raccontava le favole che snidavano i nostri primi sogni lanciandoli nel cielo lontano e nel mondo sconosciuto.
Per alcuni anni dormii nella stanza dei miei nonni. Avevo un lettino di ferro a un lato della stanza verso il cortile interno, da cui mi giungeva il canto dei galli, lo starnazzar delle oche e dei tacchini e gli striduli gridi delle faraone ingabbiate nella stalla di un pollivendolo che abitava a ridosso della casa.
La casa che nonna Marietta e nonno Alessandro avevano costruito a poco a poco con sospiri e con sudori, un giorno furono costretti ad abbandonarla. E non per colpa loro. Io piangevo, piangeva mia madre.
Rivado cauto e silenzioso ai momenti e al sentimento di quella stagione. E' la stagione morta che lo specchio visivo e vitale del nostro divenire proietta con luci che dobbiamo agli uomini e a Dio per ciò che siamo e potremo essere.”
Dall'infanzia portò con sé l'amore per la madre, l'unica persona a lui cara, morta troppo presto, per lui: un amore immenso; fedele, commosso, gratificante che aveva illuminato la sua fanciullezza e che seguitò a confortarlo per tutta l'esistenza, fino alla fine.
by Mireille Vezzoni
Prof. Mario Donadoni
L'infanzia
Letara autografa de Mario Donadoni a Paolino De Paoli e Rosa Lanza De Paoli.
by Renato De Paoli
Nato a Bovolone nel 1906 da una modesta famiglia di artigiani del luogo, Mario Donadoni visse una giovinezza stentata, grama, ma soprattutto amara e, dopo l'oscuro dramma familiare che lo colpì e del quale porterà una ferita indelebile per tutta la vita, fuggì di casa, abbandonò per sempre la famiglia, visse ramingo e diseredato per il paese, ospite sopportato e spesso umiliato presso alcune famiglie locali, patì la fame ed il freddo, sopportò le maldicenze dei suoi stessi amici d'infanzia e subì il disprezzo di molti suoi compaesani per il suo altezzoso vagabondaggio e per la sua orgogliosa testardaggine, lui povero e plebeo, di voler, ad ogni costo, studiare.
“Come sono lontani gli inverni nei cui mattini freddi e ghiacciati nonna Marietta mi veniva a svegliare in punta di piedi per accompagnarmi in chiesa a servire la prima Messa. C'era buio e c'erano ancora tutte le stelle della notte. A volte nevicava e soffiava il vento e allora nonna Marietta m'avvolgeva nel suo scialle di lana nera svincolandomi sulla soglia della sagrestia della vecchia chiesa di San Biagio.
Andai sempre d'accordo con lei. Talvolta andammo assieme a spigolare e tra le stoppie cantavamo felici, chini alla ricerca delle spighe sottratte al restrello, grondanti di sudore sotto il solleone, con in tasca un tozzo di pane che a morsi voraci consumavamo sulle rive dei fossati all’ombra degli olmi e dei platani. Raccoglieva le spighe, ne faceva tutto un mazzo, le chiudeva in un sacco che sbatteva contro il tronco degli alberi per sgranarle soffiandone via la pula e strappandone la paglia. Il grano raccolto lo portavamo al molino e, quando ne ritiravamo la farina, essa era felice del frutto candido dei suoi raccolti là nei campi che non erano suoi ma dove il buon Dio lascia alla povera gente la possibilità, sia pur minima, d'affrancarsi contro i bisogni più urgenti.
Fu lei che un mattino mi svegliò prima che suonasse l'Ave Maria per dirmi che avrei iniziato i miei studi. E fu lei che raccolse mendicando il denaro per comprarmi i libri e pagare le tasse.
Nonno Alessandro faceva il muratore. Lo ricordo quando a poco a poco costruì la casa che poi andammo ad abitare. Era tutta le sua ambizione. Vi mise egli stesso mattone su mattone, ne squadrò i muri, ne immaginò le stanze, a rilento vi stese l’intonaco e vi compose gli impiantiti. Vi alzò un grande focolare dove alle sere d'inverno sedeva come un re sul suo trono e ci raccontava le favole che snidavano i nostri primi sogni lanciandoli nel cielo lontano e nel mondo sconosciuto.
Per alcuni anni dormii nella stanza dei miei nonni. Avevo un lettino di ferro a un lato della stanza verso il cortile interno, da cui mi giungeva il canto dei galli, lo starnazzar delle oche e dei tacchini e gli striduli gridi delle faraone ingabbiate nella stalla di un pollivendolo che abitava a ridosso della casa.
La casa che nonna Marietta e nonno Alessandro avevano costruito a poco a poco con sospiri e con sudori, un giorno furono costretti ad abbandonarla. E non per colpa loro. Io piangevo, piangeva mia madre.
Rivado cauto e silenzioso ai momenti e al sentimento di quella stagione. E' la stagione morta che lo specchio visivo e vitale del nostro divenire proietta con luci che dobbiamo agli uomini e a Dio per ciò che siamo e potremo essere.”
Dall'infanzia portò con sé l'amore per la madre, l'unica persona a lui cara, morta troppo presto, per lui: un amore immenso; fedele, commosso, gratificante che aveva illuminato la sua fanciullezza e che seguitò a confortarlo per tutta l'esistenza, fino alla fine.
by Mireille Vezzoni
LANZA ROSA ved.De Paoli Paolino e Mario Donadoni
Il prof. Mario Donadoni, nacque a Bovolone il 18 ottobre 1906 da una famiglia artigiana "de marangoni" della contrada Pozza, e morì a Firenze il 6 marzo 1974, fu un bovolonese di chiara fama nazionale ed internazionale per le sue toccanti capacità di esporre e di far gustare le meraviglie della poesia e della letteratura italiana, ma noto anche come fecondo scrittore, appassionato saggista, acuto critico letterario e anche poeta.
Egli ebbe infatti una spiccata personalità ricca di una vasta e profonda cultura letteraria, per cui se la sua fama raggiunse folle cosmopolite in tutta Europa e in Africa, da Istanbul ad Helsinki, da Londra a Palermo, da Parigi a Dakar, da Madrid a Budapest, da Atene a Marrakech, da L'Aia a Zurigo, da Vienna a Lisbona, non fu perché trovò un mecenate che riuscì a porlo immeritatamente su di un piedestallo tanto alto, ma perché rivelò doti e capacità non comuni, apprezzate ed applaudite nei maggiori Atenei, Università, Circoli di Stampa e Cenacoli culturali d'Italia, d'Europa e d'Africa. Mario Donadoni, ad esempio, fu alla Sorbona di Parigi per parlare di Dante e commentare il suo grande poema.
Parlare al Corpo docente e agli alunni nell' Aula Magna di questa antica e celebre Università, collaudato tempio della più alta cultura mondiale, è un traguardo che molti ambirono, ma che pochi riuscirono a raggiungere. Mario Donadoni vi fu, e più di una volta! Frequentate le scuole elementari Mario Donadoni avrebbe voluto studiare ancora ma un secco rifiuto del padre, lo costrinse a trascorrere una giovinezza alquanto stentata, grama ma soprattutto amara, e dopo l'oscuro tragico dramma familiare che lo colpì, fuggì di casa, abbandonò per sempre la sua famiglia, e visse ramingo e diseredato per il paese, ospite sopportato e spesso umiliato presso alcune famiglie locali, conobbe la fame e il freddo, e soprattutto sopportò le maldicenze, il disprezzo e le derisioni dei suoi stessi amici per il suo altezzoso vagabondaggio e per la sua orgogliosa testardaggine di voler ad ogni costo studiare. AlIa fine però trovò chi volIe aiutarlo, e principalmente il suo Arciprete Mons. Bartolomeo Pezzo, e tra infinite difficoltà ed enormi sacrifici, riuscì a diplomarsi maestro.
Trascorso qualche anno d'insegnamento nelIe scuole elementari nei paesi limitrofi, ebbe la possibilità di far conoscenza in seguito con lo scrittore Manacorda, che lo fece andare a Firenze, e poi col Papini, il quale intuite l'intelIigenza, la volontà alIo studio e le attitudini personali, lo spronò e lo indusse a proprie spese a laurearsi in Lettere presso l'Università di Firenze. Dopo la laurea, ebbe subito l'incarico di Assistente alIa Facoltà di Letteratura Italiana presso la stessa Università e subito dopo anche quelIo delIa Sovrintendenza alIa Biblioteca Nazionale delIa città. Ma egli non si sentiva affatto attratto per l'insegnamento nelle scuole, ambiva alIa missione più alta e all'impegno più vasto di dedicarsi completamente alI'erudizione delle platee e di tutta la gente amante del sapere.
E così incominciò a girovagare dapprima per le città italiane, poi per quelIe europee e infine anche in alcune delI'Africa Settentrionale quale autentico messaggero e «chierico vagante» d'italianità, tenendo conferenze su Dante, ma anche su Papini, Pascoli, D'Annunzio, PirandelIo, Quasimodo, Tolstoj, Ibsen e di molti temi a lui molto cari. Né si limitò a fare l'oratore o il «dicitore», ma scrisse saggi critici, collaborò alIa terza pagina di vari quotidiani italiani e stranieri e a diverse riviste letterarie internazionali, non trascurando il Foscolo, Leopardi, Carducci, Joyce ed altri, e compose anche delIe poesie: saggi critici e temi di poesia classica e moderna, italiana e straniera, e talvolta polemica dura e spietata come in «Verità e non verità in "Il Vicario" di Hochhuth». Malgrado però tanti successi, tanti onori e tanta fama, Mario Donadoni visse per tutta la vita il dramma amaro e terribile di una solitudine che ne avvilì profondamente l'anima: e ciò a causa delle sue nozze «sbagliate» e di un matrimonio che franò miseramente e prestissimo!
Né valsero mai a svincolarlo da questo «peso di solitario sconforto» le sue frequenti visite a parenti, ad amici e soprattutto le belle ore trascorse al «piccolo Vaticano» - così egli chiamava la Casa Canonica di Bovolone - in lieti conviviali e in dolci conversari con gli amici che gli avevano dimostrato tutta la loro comprensione e soprattutto la loro ammirazione.
Le spoglie mortali di Mario Donadoni riposano ora a Bovolone nel nuovo camposanto ala Madona nele Isole sperse in all'isola del Menago a lui tanto cara.
(Tratto da “Storia delle genti di Bovolone” di Lino Turrini, Novastampa di Verona, 1985)
Letara autografa de Mario Donadoni a Paolino De Paoli e Rosa Lanza De Paoli.
by Renato De Paoli
Egli ebbe infatti una spiccata personalità ricca di una vasta e profonda cultura letteraria, per cui se la sua fama raggiunse folle cosmopolite in tutta Europa e in Africa, da Istanbul ad Helsinki, da Londra a Palermo, da Parigi a Dakar, da Madrid a Budapest, da Atene a Marrakech, da L'Aia a Zurigo, da Vienna a Lisbona, non fu perché trovò un mecenate che riuscì a porlo immeritatamente su di un piedestallo tanto alto, ma perché rivelò doti e capacità non comuni, apprezzate ed applaudite nei maggiori Atenei, Università, Circoli di Stampa e Cenacoli culturali d'Italia, d'Europa e d'Africa. Mario Donadoni, ad esempio, fu alla Sorbona di Parigi per parlare di Dante e commentare il suo grande poema.
Parlare al Corpo docente e agli alunni nell' Aula Magna di questa antica e celebre Università, collaudato tempio della più alta cultura mondiale, è un traguardo che molti ambirono, ma che pochi riuscirono a raggiungere. Mario Donadoni vi fu, e più di una volta! Frequentate le scuole elementari Mario Donadoni avrebbe voluto studiare ancora ma un secco rifiuto del padre, lo costrinse a trascorrere una giovinezza alquanto stentata, grama ma soprattutto amara, e dopo l'oscuro tragico dramma familiare che lo colpì, fuggì di casa, abbandonò per sempre la sua famiglia, e visse ramingo e diseredato per il paese, ospite sopportato e spesso umiliato presso alcune famiglie locali, conobbe la fame e il freddo, e soprattutto sopportò le maldicenze, il disprezzo e le derisioni dei suoi stessi amici per il suo altezzoso vagabondaggio e per la sua orgogliosa testardaggine di voler ad ogni costo studiare. AlIa fine però trovò chi volIe aiutarlo, e principalmente il suo Arciprete Mons. Bartolomeo Pezzo, e tra infinite difficoltà ed enormi sacrifici, riuscì a diplomarsi maestro.
Trascorso qualche anno d'insegnamento nelIe scuole elementari nei paesi limitrofi, ebbe la possibilità di far conoscenza in seguito con lo scrittore Manacorda, che lo fece andare a Firenze, e poi col Papini, il quale intuite l'intelIigenza, la volontà alIo studio e le attitudini personali, lo spronò e lo indusse a proprie spese a laurearsi in Lettere presso l'Università di Firenze. Dopo la laurea, ebbe subito l'incarico di Assistente alIa Facoltà di Letteratura Italiana presso la stessa Università e subito dopo anche quelIo delIa Sovrintendenza alIa Biblioteca Nazionale delIa città. Ma egli non si sentiva affatto attratto per l'insegnamento nelle scuole, ambiva alIa missione più alta e all'impegno più vasto di dedicarsi completamente alI'erudizione delle platee e di tutta la gente amante del sapere.
E così incominciò a girovagare dapprima per le città italiane, poi per quelIe europee e infine anche in alcune delI'Africa Settentrionale quale autentico messaggero e «chierico vagante» d'italianità, tenendo conferenze su Dante, ma anche su Papini, Pascoli, D'Annunzio, PirandelIo, Quasimodo, Tolstoj, Ibsen e di molti temi a lui molto cari. Né si limitò a fare l'oratore o il «dicitore», ma scrisse saggi critici, collaborò alIa terza pagina di vari quotidiani italiani e stranieri e a diverse riviste letterarie internazionali, non trascurando il Foscolo, Leopardi, Carducci, Joyce ed altri, e compose anche delIe poesie: saggi critici e temi di poesia classica e moderna, italiana e straniera, e talvolta polemica dura e spietata come in «Verità e non verità in "Il Vicario" di Hochhuth». Malgrado però tanti successi, tanti onori e tanta fama, Mario Donadoni visse per tutta la vita il dramma amaro e terribile di una solitudine che ne avvilì profondamente l'anima: e ciò a causa delle sue nozze «sbagliate» e di un matrimonio che franò miseramente e prestissimo!
Né valsero mai a svincolarlo da questo «peso di solitario sconforto» le sue frequenti visite a parenti, ad amici e soprattutto le belle ore trascorse al «piccolo Vaticano» - così egli chiamava la Casa Canonica di Bovolone - in lieti conviviali e in dolci conversari con gli amici che gli avevano dimostrato tutta la loro comprensione e soprattutto la loro ammirazione.
Le spoglie mortali di Mario Donadoni riposano ora a Bovolone nel nuovo camposanto ala Madona nele Isole sperse in all'isola del Menago a lui tanto cara.
(Tratto da “Storia delle genti di Bovolone” di Lino Turrini, Novastampa di Verona, 1985)
giovedì 3 febbraio 2011
mercoledì 2 febbraio 2011
Itaca di Elisabetta Asburgo.
da Elisabetta d'Austria Diario Poetico
Itaca ottobre 1887
ITACA
Itaca ottobre 1887
ITACA
26 ottobre
I.
Costeggio l'Albania
sembra volare il Grifone,
contro di lui infuria lo scirocco
e spumeggia il mare.
Grigio il cielo, grigie le onde,
grigio il nitido profilo dei monti;
rocce spoglie, a picco
per sempre unite soltanto alle acque.
Scende la sera, già è crepuscolo;
stanco è il Grifone
di lottare contro gli elementi;
ricoperta di sale e di sciuma è la sua coda.
Lento incrocia becheggiando
come per giuoco su ogni onda,
la prua rivolta verso Santa Maura;*
Santa Maura è la sua meta.
*Fortezza su un'isola di fronte a Leukas e nome veneziano dell'intera isola. (ora penisola n.d.r.)
Itaca, 27 ottobre
II.
La pioggia cade a scrosci,
infuria l'uragano,
come se nulla potesse domarlo
forte si agita il mare.
La notte è profonda e cupa
e dalle acque sale un lamento,
un sospiro e un sussurrio
che predice sol sventura.
Sullo scafo del Grifone gorgoglianti
selvagge spumeggiano le onde,
pronto al volo riesce appena
a sollevarsi in mezzo ad esse.
Dalla costa di Santa Maura
sul Mare deserto
da una buia lontananza
arriva il bagliore del faro.
"Qui non possiamo rimanere",
al gabbiano dice il Grifone;
"I flutti maligni sospingono
attorno a noi il cerchio incantato.
Qui non ti posso proteggere
da sventure e da pericolo;
la cupa schiera qui d'intorno
cova in sè delle minacce".
E appena ad Oriente
appare pallida una striscia,
erruffato dalla tempesta il Grifone
abbandona quel posto tremendo.
Navigando sotto costa
di isola in isola
in salvo vuol portare
il gabbiano che ha sul dorso.
Procede adesso verso Sud
costeggiando bosci e rocce;
ecco ora aranci in fiore
e là un monotono grigiore.
E lontano sullo sfondo
s'inarca ampio sopra il mare
variopinto, multicolore
il segno della pace.
Si rischiara e si fa azzurro il cielo
e più profondo si fa il blu del mare;
lieve l'onda increspata
dimentica la sferza della burrusca.
E senza ostacoli proseguno
il gabbiano e il Grifone
sfilano con grazia
sulla distesa color zeffiro.
Ora si fanno più vicini
i contorni delle isole;
diventa più stretta e più lunga
la strada azzurra del mare,
per aprirsi di nuovo all'improvviso;
simile ad un lago alpino,
si vede allargarsi la baia
qui, sotto un'alta montagna.
Fiero si eleva il Neritos*
il guardiano della baia,
sulla vetta spoglia
l'aquila cerca rifugio.
E a dritta e a manca rovine
sulle rocce basse,
mura merlate cadenti
guardano giù verso il porto.
Sullo sfondo si eleva
a trrrazze sul pendio,
adornata dal verde degli ulivi,
Vathy*, la città.
Salutano le case bianche
ospitali in mezzo al verde,
i vetri delle finestre rilucono
appena Febo li colpisce.
La piccola baiaè cinta
da olivi ch e come una corona
su grigie terrazze di pietra
si innalzano con morbide chiome.
Qua e là cipressi verdescuri,
così fieri e severi,
dall'alto delle rocce
scrutano il mare.
* Capoluogo dell'Isola di Itaca.
Nell'azzurro etere corrono in fuga
schiere di nuvolette rosa
che ora ardenti s'imporporano
e ora si indorano.
Un mare di petali rosa
sembra sparso sulla baia
come se oggi per gli dei
fosse il giorno di un tributo in rose.
Ma ecco le rose rosse
diventare d'oro
e ogni cosa che danzi e ondeggi
rivestirsi d'oro
e ogni cosa che danzi e ondeggi
rivestirsi d'oro.
Ma anche l'oro impallidisce;
lenta la notte si avvicina,
poi tutto brilla sempre più
per risplendere d'argento.
La luna si è levata
sulla volta buia nel cielo
per avvolgere in un argenteo velo
questo piccolo mondo incantato.
Dimmi, o compagno,
siamo in Paradiso,
siamo già fuggiti dalla terra?",
chiede ora piano il gabbiano.
Sussurra l'altro dalle onde:
"Siamo a Itaca;
- sacro è questo luogo -
all'anima di Ulisse è vicino".
sulla
*Neritos il monte più alto di Itaca (800 mt)
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