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mercoledì 16 febbraio 2011

Mario Donadoni Poeta Scrittore Critico letterario delle Isole Sparse Vniversixà Menago

Dal Sito Ufficiale.

Prof. Mario Donadoni
L'infanzia


Letara autografa de Mario Donadoni a Paolino De Paoli e Rosa Lanza De Paoli.

by Renato De Paoli

Nato a Bovolone nel 1906 da una modesta famiglia di artigiani del luogo, Mario Donadoni visse una giovinezza stentata, grama, ma soprattutto amara e, dopo l'oscuro dramma familiare che lo colpì e del quale porterà una ferita indelebile per tutta la vita, fuggì di casa, abbandonò per sempre la famiglia, visse ramingo e diseredato per il paese, ospite sopportato e spesso umiliato presso alcune famiglie locali, patì la fame ed il freddo, sopportò le maldicenze dei suoi stessi amici d'infanzia e subì il disprezzo di molti suoi compaesani per il suo altezzoso vagabondaggio e per la sua orgogliosa testardaggine, lui povero e plebeo, di voler, ad ogni costo, studiare.







“Come sono lontani gli inverni nei cui mattini freddi e ghiacciati nonna Marietta mi veniva a svegliare in punta di piedi per accompagnarmi in chiesa a servire la prima Messa. C'era buio e c'erano ancora tutte le stelle della notte. A volte nevicava e soffiava il vento e allora nonna Marietta m'avvolgeva nel suo scialle di lana nera svincolandomi sulla soglia della sagrestia della vecchia chiesa di San Biagio.


Andai sempre d'accordo con lei. Talvolta andammo assieme a spigolare e tra le stoppie cantavamo felici, chini alla ricerca delle spighe sottratte al restrello, grondanti di sudore sotto il solleone, con in tasca un tozzo di pane che a morsi voraci consumavamo sulle rive dei fossati all’ombra degli olmi e dei platani. Raccoglieva le spighe, ne faceva tutto un mazzo, le chiudeva in un sacco che sbatteva contro il tronco degli alberi per sgranarle soffiandone via la pula e strappandone la paglia. Il grano raccolto lo portavamo al molino e, quando ne ritiravamo la farina, essa era felice del frutto candido dei suoi raccolti là nei campi che non erano suoi ma dove il buon Dio lascia alla povera gente la possibilità, sia pur minima, d'affrancarsi contro i bisogni più urgenti.





Fu lei che un mattino mi svegliò prima che suonasse l'Ave Maria per dirmi che avrei iniziato i miei studi. E fu lei che raccolse mendicando il denaro per comprarmi i libri e pagare le tasse.



Nonno Alessandro faceva il muratore. Lo ricordo quando a poco a poco costruì la casa che poi andammo ad abitare. Era tutta le sua ambizione. Vi mise egli stesso mattone su mattone, ne squadrò i muri, ne immaginò le stanze, a rilento vi stese l’intonaco e vi compose gli impiantiti. Vi alzò un grande focolare dove alle sere d'inverno sedeva come un re sul suo trono e ci raccontava le favole che snidavano i nostri primi sogni lanciandoli nel cielo lontano e nel mondo sconosciuto.





 Per alcuni anni dormii nella stanza dei miei nonni. Avevo un lettino di ferro a un lato della stanza verso il cortile interno, da cui mi giungeva il canto dei galli, lo starnazzar delle oche e dei tacchini e gli striduli gridi delle faraone ingabbiate nella stalla di un pollivendolo che abitava a ridosso della casa.






La casa che nonna Marietta e nonno Alessandro avevano costruito a poco a poco con sospiri e con sudori, un giorno furono costretti ad abbandonarla. E non per colpa loro. Io piangevo, piangeva mia madre.






Rivado cauto e silenzioso ai momenti e al sentimento di quella stagione. E' la stagione morta che lo specchio visivo e vitale del nostro divenire proietta con luci che dobbiamo agli uomini e a Dio per ciò che siamo e potremo essere.”







Dall'infanzia portò con sé l'amore per la madre, l'unica persona a lui cara, morta troppo presto, per lui: un amore immenso; fedele, commosso, gratificante che aveva illuminato la sua fanciullezza e che seguitò a confortarlo per tutta l'esistenza, fino alla fine.



by Mireille Vezzoni



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