Il prof. Mario Donadoni, nacque a Bovolone il 18 ottobre 1906 da una famiglia artigiana "de marangoni" della contrada Pozza, e morì a Firenze il 6 marzo 1974, fu un bovolonese di chiara fama nazionale ed internazionale per le sue toccanti capacità di esporre e di far gustare le meraviglie della poesia e della letteratura italiana, ma noto anche come fecondo scrittore, appassionato saggista, acuto critico letterario e anche poeta.
Egli ebbe infatti una spiccata personalità ricca di una vasta e profonda cultura letteraria, per cui se la sua fama raggiunse folle cosmopolite in tutta Europa e in Africa, da Istanbul ad Helsinki, da Londra a Palermo, da Parigi a Dakar, da Madrid a Budapest, da Atene a Marrakech, da L'Aia a Zurigo, da Vienna a Lisbona, non fu perché trovò un mecenate che riuscì a porlo immeritatamente su di un piedestallo tanto alto, ma perché rivelò doti e capacità non comuni, apprezzate ed applaudite nei maggiori Atenei, Università, Circoli di Stampa e Cenacoli culturali d'Italia, d'Europa e d'Africa. Mario Donadoni, ad esempio, fu alla Sorbona di Parigi per parlare di Dante e commentare il suo grande poema.
Parlare al Corpo docente e agli alunni nell' Aula Magna di questa antica e celebre Università, collaudato tempio della più alta cultura mondiale, è un traguardo che molti ambirono, ma che pochi riuscirono a raggiungere. Mario Donadoni vi fu, e più di una volta! Frequentate le scuole elementari Mario Donadoni avrebbe voluto studiare ancora ma un secco rifiuto del padre, lo costrinse a trascorrere una giovinezza alquanto stentata, grama ma soprattutto amara, e dopo l'oscuro tragico dramma familiare che lo colpì, fuggì di casa, abbandonò per sempre la sua famiglia, e visse ramingo e diseredato per il paese, ospite sopportato e spesso umiliato presso alcune famiglie locali, conobbe la fame e il freddo, e soprattutto sopportò le maldicenze, il disprezzo e le derisioni dei suoi stessi amici per il suo altezzoso vagabondaggio e per la sua orgogliosa testardaggine di voler ad ogni costo studiare. AlIa fine però trovò chi volIe aiutarlo, e principalmente il suo Arciprete Mons. Bartolomeo Pezzo, e tra infinite difficoltà ed enormi sacrifici, riuscì a diplomarsi maestro.
Trascorso qualche anno d'insegnamento nelIe scuole elementari nei paesi limitrofi, ebbe la possibilità di far conoscenza in seguito con lo scrittore Manacorda, che lo fece andare a Firenze, e poi col Papini, il quale intuite l'intelIigenza, la volontà alIo studio e le attitudini personali, lo spronò e lo indusse a proprie spese a laurearsi in Lettere presso l'Università di Firenze. Dopo la laurea, ebbe subito l'incarico di Assistente alIa Facoltà di Letteratura Italiana presso la stessa Università e subito dopo anche quelIo delIa Sovrintendenza alIa Biblioteca Nazionale delIa città. Ma egli non si sentiva affatto attratto per l'insegnamento nelle scuole, ambiva alIa missione più alta e all'impegno più vasto di dedicarsi completamente alI'erudizione delle platee e di tutta la gente amante del sapere.
E così incominciò a girovagare dapprima per le città italiane, poi per quelIe europee e infine anche in alcune delI'Africa Settentrionale quale autentico messaggero e «chierico vagante» d'italianità, tenendo conferenze su Dante, ma anche su Papini, Pascoli, D'Annunzio, PirandelIo, Quasimodo, Tolstoj, Ibsen e di molti temi a lui molto cari. Né si limitò a fare l'oratore o il «dicitore», ma scrisse saggi critici, collaborò alIa terza pagina di vari quotidiani italiani e stranieri e a diverse riviste letterarie internazionali, non trascurando il Foscolo, Leopardi, Carducci, Joyce ed altri, e compose anche delIe poesie: saggi critici e temi di poesia classica e moderna, italiana e straniera, e talvolta polemica dura e spietata come in «Verità e non verità in "Il Vicario" di Hochhuth». Malgrado però tanti successi, tanti onori e tanta fama, Mario Donadoni visse per tutta la vita il dramma amaro e terribile di una solitudine che ne avvilì profondamente l'anima: e ciò a causa delle sue nozze «sbagliate» e di un matrimonio che franò miseramente e prestissimo!
Né valsero mai a svincolarlo da questo «peso di solitario sconforto» le sue frequenti visite a parenti, ad amici e soprattutto le belle ore trascorse al «piccolo Vaticano» - così egli chiamava la Casa Canonica di Bovolone - in lieti conviviali e in dolci conversari con gli amici che gli avevano dimostrato tutta la loro comprensione e soprattutto la loro ammirazione.
Le spoglie mortali di Mario Donadoni riposano ora a Bovolone nel nuovo camposanto ala Madona nele Isole sperse in all'isola del Menago a lui tanto cara.
(Tratto da “Storia delle genti di Bovolone” di Lino Turrini, Novastampa di Verona, 1985)
Letara autografa de Mario Donadoni a Paolino De Paoli e Rosa Lanza De Paoli.
by Renato De Paoli
Egli ebbe infatti una spiccata personalità ricca di una vasta e profonda cultura letteraria, per cui se la sua fama raggiunse folle cosmopolite in tutta Europa e in Africa, da Istanbul ad Helsinki, da Londra a Palermo, da Parigi a Dakar, da Madrid a Budapest, da Atene a Marrakech, da L'Aia a Zurigo, da Vienna a Lisbona, non fu perché trovò un mecenate che riuscì a porlo immeritatamente su di un piedestallo tanto alto, ma perché rivelò doti e capacità non comuni, apprezzate ed applaudite nei maggiori Atenei, Università, Circoli di Stampa e Cenacoli culturali d'Italia, d'Europa e d'Africa. Mario Donadoni, ad esempio, fu alla Sorbona di Parigi per parlare di Dante e commentare il suo grande poema.
Parlare al Corpo docente e agli alunni nell' Aula Magna di questa antica e celebre Università, collaudato tempio della più alta cultura mondiale, è un traguardo che molti ambirono, ma che pochi riuscirono a raggiungere. Mario Donadoni vi fu, e più di una volta! Frequentate le scuole elementari Mario Donadoni avrebbe voluto studiare ancora ma un secco rifiuto del padre, lo costrinse a trascorrere una giovinezza alquanto stentata, grama ma soprattutto amara, e dopo l'oscuro tragico dramma familiare che lo colpì, fuggì di casa, abbandonò per sempre la sua famiglia, e visse ramingo e diseredato per il paese, ospite sopportato e spesso umiliato presso alcune famiglie locali, conobbe la fame e il freddo, e soprattutto sopportò le maldicenze, il disprezzo e le derisioni dei suoi stessi amici per il suo altezzoso vagabondaggio e per la sua orgogliosa testardaggine di voler ad ogni costo studiare. AlIa fine però trovò chi volIe aiutarlo, e principalmente il suo Arciprete Mons. Bartolomeo Pezzo, e tra infinite difficoltà ed enormi sacrifici, riuscì a diplomarsi maestro.
Trascorso qualche anno d'insegnamento nelIe scuole elementari nei paesi limitrofi, ebbe la possibilità di far conoscenza in seguito con lo scrittore Manacorda, che lo fece andare a Firenze, e poi col Papini, il quale intuite l'intelIigenza, la volontà alIo studio e le attitudini personali, lo spronò e lo indusse a proprie spese a laurearsi in Lettere presso l'Università di Firenze. Dopo la laurea, ebbe subito l'incarico di Assistente alIa Facoltà di Letteratura Italiana presso la stessa Università e subito dopo anche quelIo delIa Sovrintendenza alIa Biblioteca Nazionale delIa città. Ma egli non si sentiva affatto attratto per l'insegnamento nelle scuole, ambiva alIa missione più alta e all'impegno più vasto di dedicarsi completamente alI'erudizione delle platee e di tutta la gente amante del sapere.
E così incominciò a girovagare dapprima per le città italiane, poi per quelIe europee e infine anche in alcune delI'Africa Settentrionale quale autentico messaggero e «chierico vagante» d'italianità, tenendo conferenze su Dante, ma anche su Papini, Pascoli, D'Annunzio, PirandelIo, Quasimodo, Tolstoj, Ibsen e di molti temi a lui molto cari. Né si limitò a fare l'oratore o il «dicitore», ma scrisse saggi critici, collaborò alIa terza pagina di vari quotidiani italiani e stranieri e a diverse riviste letterarie internazionali, non trascurando il Foscolo, Leopardi, Carducci, Joyce ed altri, e compose anche delIe poesie: saggi critici e temi di poesia classica e moderna, italiana e straniera, e talvolta polemica dura e spietata come in «Verità e non verità in "Il Vicario" di Hochhuth». Malgrado però tanti successi, tanti onori e tanta fama, Mario Donadoni visse per tutta la vita il dramma amaro e terribile di una solitudine che ne avvilì profondamente l'anima: e ciò a causa delle sue nozze «sbagliate» e di un matrimonio che franò miseramente e prestissimo!
Né valsero mai a svincolarlo da questo «peso di solitario sconforto» le sue frequenti visite a parenti, ad amici e soprattutto le belle ore trascorse al «piccolo Vaticano» - così egli chiamava la Casa Canonica di Bovolone - in lieti conviviali e in dolci conversari con gli amici che gli avevano dimostrato tutta la loro comprensione e soprattutto la loro ammirazione.
Le spoglie mortali di Mario Donadoni riposano ora a Bovolone nel nuovo camposanto ala Madona nele Isole sperse in all'isola del Menago a lui tanto cara.
(Tratto da “Storia delle genti di Bovolone” di Lino Turrini, Novastampa di Verona, 1985)
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